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Rimini – Ritrovata un’opera d’arte che sembra appartenere al Caravaggio

Notizia pubblicata il 19 luglio 2010



Categoria notizia : Fatti Curiosi


Per sapere con certezza se quest’opera d’arte sconosciuta, appartiene al Caravaggio, si dovrà aspettare settembre quando verrà comunicato ufficialmente il risultato degli studi da parte degli esperti in una conferenza stampa. Ma sabato 17 luglio, La Voce di Romagna è stato il primo giornale a dare la notizia scoop.

Il sacedote che ha ritrovato il dipinto ha dichiarato: “Più che un Caravaggio possiamo parlare di un ‘caravaggesco’; non disponiamo di attribuzioni certe e, per prudenza, siamo obbligati al dubbio fino a quando gli storici dell’arte non avranno sciolto le riserve”.

Il fotografo d’arte Zeno Colantoni è stato ingaggiato da un ordine religioso per documentare il restauro dell’opera e ha già trascorso giorni e giorni a fotografare il dipinto in tutte le fasi del restauro e ha affermato: “La perfezione di certi dettagli in arte non è imitabile, né riproducibile, e come sostengono gli esperti spesso equivalgono a un marchio, a una firma. Una mano soltanto è capace di eseguirli”. E di opere d’arte Colantoni se ne intende, visto che si è occupato dei servizi sulla Deposizione Baglioni di Raffaello, la sensualissima Paolina Bonaparte del canova al Museo Borghese, la Santa Cecilia del Maderno, gli affreschi dei Carracci a Palazzo Farnese e il Fauno danzante esposto al Quirinali che ha eseguito per conto della Voce di Romagna.

L’opera custodina in una chiesa non ancora specificata, si trova in una stanza appartata raggiungibile attraverso un dedalo di scale, corridoi e anfratti. La scena raffigurata rappresenta il Martirio di San Lorenzo. Il pittore, proprio come Caravaggio, reisce a raccontare lo sgomento, paura e sofferenza di questo santo che davanti alla morte si comporta alla pari di ognuno di noi: non è raffigurato con gli occhi al cielo come rasseggnato al suplizio e quasi appagato da tanta sofferenza, al contrario vive il supplizio con orrore e smarrimento spalancando la bocca in un urlo assordante con uno sguardo perso nell’annientamento. Tale è il dolore rappresentato, che osservando il quadro dal basso (come spesso accade in chiesa) si ha come l’impressione che Lorenzo “precipiti nella rovina del martirio”. Il giovane Lorenzo nudo e rassegnato viene bruciato a fuoco vivo dalle fiamme che provengono da una graticola.

Nell’opera d’arte gli altri protagonisti raffigurati sono il carnefice, un lanzichenecco con in testa il classico basco largo e floscio, dalle braghe arrotolate fin sotto la gabbia toracica nuda, e tra le mani la pertica biforcuta con la quale rigira sul braciere il supliziato. Questo uomo non è più giovane, i suoi occhi sono infiammati, il viso è tracciato da rughe profonde e con le sue bracia nodose e forti tende i suoi muscoli per eseguire la tortura. E’ possibile capire la partecipazione ed eccitazione del carnefice non solo dalle sue espressioni ma anche nell’intrattenibile erezione che preme contro la stoffa della braghe, raffigurato come una creatura d’inferno un demonio spaventoso.

Una raffigurazione cruda, spietata e probabilmente poco adatta ad una chiesa. Potrebbe essere proprio questa la ragione per cui il quadro è stato giudiziosamente messo da parte dai religiosi facendolo sparire per tanto tempo dalla circolazione.

Un’altra figura rappresentata è un dignitario che si tura il naso per l’orribile puzza di carne bruciata. Questa figura sembra aggiunta da una mano diversa però, le dita dell’uomo non sono raffigurate con precisione e molto dissimili dallo stile del Caravaggio. Mentre le mani del santo possono essere ricondotte a quelle di Oloferne decapitato da Giuditta e altri particolari ricordano il Rinnegamento di Pietro e il San Giovanni di Malta.

Sembra inoltre che le dimensioni originali dell’opera erano più ampie rispetto a quella attuale, ripiegata sull’intelaiatura. I bordi mostrano evidenti scrostamenti del colore e vengono escluse alcune parti delle figure a margine ma sembra che i danni non sono gravi da compromettere il pezzo d’arte, probabilmente frutto delle opere create nella prima stagione romana del pittore.

Al momento non sono state ritrovate lettere di committenza, repertori, contratti, cataloghi o ricevute di pagamento che possano attestare alla richiesta a Caravaggio del quadro ritrovato, ma la prima cappella a destra è intitolata ai martiri Stefano e Lorenza e le pareti sono affrescate da Agostino Ciampelli.

Il padre che ha ritrovato l’opera è un appassionato conoscitore dell’opera del Maestro ed ha indagato con finezza da esperto le origini di questo capolavoro. Ora lascia tutto nelle mani degli studiosi accreditati e alla verifica tecnologica per stabilire a chi attribuire l’opera.

Questo dipinto anche se non appartiene al Caravaggio sembra appartenere ad un artista che è riuscito ad assimilare completamente il suo spirito e tecnica e in ogni caso si tratta di un capolavoro di impareggiabile emozione per chi ama l’arte.

Per sapere con certezza se quest’opera d’arte sconosciuta, appartiene al Caravaggio, si dovrà aspettare settembre quando verrà comunicato ufficialmente il risultato degli studi da parte degli esperti in una conferenza stampa. Ma sabato 17 luglio, La Voce di Romagna è stato il primo giornale a dare la notizia scoop.

Il sacedote che ha ritrovato il dipinto ha dichiarato: “Più che un Caravaggio possiamo parlare di un ‘caravaggesco’; non disponiamo di attribuzioni certe e, per prudenza, siamo obbligati al dubbio fino a quando gli storici dell’arte non avranno sciolto le riserve”.

Il fotografo d’arte Zeno Colantoni è stato ingaggiato da un ordine religioso per documentare il restauro dell’opera e ha già trascorso giorni e giorni a fotografare il dipinto in tutte le fasi del restauro e ha affermato: “La perfezione di certi dettagli in arte non è imitabile, né riproducibile, e come sostengono gli esperti spesso equivalgono a un marchio, a una firma. Una mano soltanto è capace di eseguirli”. E di opere d’arte Colantoni se ne intende, visto che si è occupato dei servizi sulla Deposizione Baglioni di Raffaello, la sensualissima Paolina Bonaparte del canova al Museo Borghese, la Santa Cecilia del Maderno, gli affreschi dei Carracci a Palazzo Farnese e il Fauno danzante esposto al Quirinali che ha eseguito per conto della Voce di Romagna.

L’opera custodina in una chiesa non ancora specificata, si trova in una stanza appartata raggiungibile attraverso un dedalo di scale, corridoi e anfratti. La scena raffigurata rappresenta il Martirio di San Lorenzo. Il pittore, proprio come Caravaggio, reisce a raccontare lo sgomento, paura e sofferenza di questo santo che davanti alla morte si comporta alla pari di ognuno di noi: non è raffigurato con gli occhi al cielo come rasseggnato al suplizio e quasi appagato da tanta sofferenza, al contrario vive il supplizio con orrore e smarrimento spalancando la bocca in un urlo assordante con uno sguardo perso nell’annientamento. Tale è il dolore rappresentato, che osservando il quadro dal basso (come spesso accade in chiesa) si ha come l’impressione che Lorenzo “precipiti nella rovina del martirio”. Il giovane Lorenzo nudo e rassegnato viene bruciato a fuoco vivo dalle fiamme che provengono da una graticola.

Nell’opera d’arte gli altri protagonisti raffigurati sono il carnefice, un lanzichenecco con in testa il classico basco largo e floscio, dalle braghe arrotolate fin sotto la gabbia toracica nuda, e tra le mani la pertica biforcuta con la quale rigira sul braciere il supliziato. Questo uomo non è più giovane, i suoi occhi sono infiammati, il viso è tracciato da rughe profonde e con le sue bracia nodose e forti tende i suoi muscoli per eseguire la tortura. E’ possibile capire la partecipazione ed eccitazione del carnefice non solo dalle sue espressioni ma anche nell’intrattenibile erezione che preme contro la stoffa della braghe, raffigurato come una creatura d’inferno un demonio spaventoso.

Una raffigurazione cruda, spietata e probabilmente poco adatta ad una chiesa. Potrebbe essere proprio questa la ragione per cui il quadro è stato giudiziosamente messo da parte dai religiosi facendolo sparire per tanto tempo dalla circolazione.

Un’altra figura rappresentata è un dignitario che si tura il naso per l’orribile puzza di carne bruciata. Questa figura sembra aggiunta da una mano diversa però, le dita dell’uomo non sono raffigurate con precisione e molto dissimili dallo stile del Caravaggio. Mentre le mani del santo possono essere ricondotte a quelle di Oloferne decapitato da Giuditta e altri particolari ricordano il Rinnegamento di Pietro e il San Giovanni di Malta.

Sembra inoltre che le dimensioni originali dell’opera erano più ampie rispetto a quella attuale, ripiegata sull’intelaiatura. I bordi mostrano evidenti scrostamenti del colore e vengono escluse alcune parti delle figure a margine ma sembra che i danni non sono gravi da compromettere il pezzo d’arte, probabilmente frutto delle opere create nella prima stagione romana del pittore.

Al momento non sono state ritrovate lettere di committenza, repertori, contratti, cataloghi o ricevute di pagamento che possano attestare alla richiesta a Caravaggio del quadro ritrovato, ma la prima cappella a destra è intitolata ai martiri Stefano e Lorenza e le pareti sono affrescate da Agostino Ciampelli.

Il padre che ha ritrovato l’opera è un appassionato conoscitore dell’opera del Maestro ed ha indagato con finezza da esperto le origini di questo capolavoro. Ora lascia tutto nelle mani degli studiosi accreditati e alla verifica tecnologica per stabilire a chi attribuire l’opera.

Questo dipinto anche se non appartiene al Caravaggio sembra appartenere ad un artista che è riuscito ad assimilare completamente il suo spirito e tecnica e in ogni caso si tratta di un capolavoro di impareggiabile emozione per chi ama l’arte.