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Raffaella Valentini

Notizia pubblicata il 27 febbraio 2007


Raffaella Valentini: Un soprano dunque venuto dal nulla? Non esattamente; fino ai 28 anni la "Lella" ha studiato Economia e commercio e lavorato al Credito cooperativo. Poi la decisione: «Ho fatto tutto quello che mi avete richiesto - motivò alla famiglia nel 2002 -; adesso posso dedicarmi a ciò che davvero voglio fare: cantare».

«Dopo il Cairo arriverò alla Scala»Il soprano cesenate dà voce ai sogni

Sei mesi dopo era da Pavarotti.Come arrivò a casa di big Luciano?«Mio padre lo conosceva e gli aveva parlato di me. Un giorno il maestro ci telefonò dicendo: "Sono Pavarotti, ho bisogno di Battistini: mi porti sua figlia che la voglio sentire"».Come andò?«Dopo avermi ascoltata in Liù da Turandot e nell'Ave Maria de l'Otello, mi lesse la "sentenza": "Secondo me - disse - hai qualcosa che va oltre la bella voce; riesci a trasmettere dei sentimenti, gliela puoi fare"».Nel 2004 debuttò nella Mimì di Bohème a Modena con la regia di Pavarotti e la direzione di Magiera, e in Nedda di Pagliacci di Leoncavallo al Bellini di Catania. Adesso c'è Verdi; è più dura?«Per me Verdi è più facile di Puccini. Nel senso che per cantare Verdi occorrono tre cose: voce, voce e voce. Per Puccini invece occorrono voce, sentimento, passione, morbidezza e qualcos'altro. Puccini è il top. Certo che adesso Bohème mi starebbe stretta vocalmente, essendo cresciuta con Verdi e coi debutti in Trovatore, Aida, Traviata. Ma ci sono tante opere di Puccini che mi intrigano».Ne citi una.«Manon Lescaut ad esempio. Giusto qualche giorno fa mi è arrivata una proposta di cantarla ancora al Cairo; sarebbe la prima volta nel nuovo teatro ricostruito diciassette anni fa dopo l'incendio. Sto ancora pensando se accettare, perché esaltare al meglio la musicalità di Puccini è assai difficile».Certo che Il Cairo l'ha accolta davvero trionfalmente!«Indubbiamente è stato meraviglioso cantare Aida in quella città e in quel teatro da duemila posti, protagonista di un allestimento faraonico, con continui cambi di scena, 400 persone sul palco, fra cui 250 militari dell'esercito, come comparse. E mi hanno già riconfermata per Tosca in maggio. Mentre in ottobre potrei cantare di nuovo Aida all'aperto, addirittura sotto le piramidi».Cosa le ha insegnato Luciano Pavarotti?«Mi ha dato sicurezza, l'unica cosa di cui hanno davvero bisogno i cantanti».Ve ne sono tanti però che, si dice, non arrivano perché rovinati da maestri approfittatori.«Non credo a leggende di maestri che rovinano voci o creano dei portenti. La verità è che molti cantanti sono delusi perché vorrebbero trovare nel maestro ciò che non possiedono loro. Ma il sentimento o si ha dentro, o nessuno te lo può dare. Le qualità si hanno o non si hanno; ho visto molte voci andarsene dopo che i loro maestri avevano consigliato di cambiare mestiere! Non tutti però accettano la verità, e magari continuano a insistere peggiorando le cose».Fare la soprano costa?«Tanto; mediamente le lezioni costano 50 euro all'ora, altrettanto l'accompagnamento del pianista, mentre per un abito da concerto ci vogliono almeno mille euro. Io spendo 300 euro a settimana soltanto in lezioni. Anche per questo ha senso insistere col canto se si può guadagnare».Come ci si riesce a districare nel tourbillon della lirica?«Ci vuole una gran fortuna; un giorno canti in un teatro parrocchiale, e magari un altro sei al Metropolitan».Quanto conta il rischio?«Bisogna rischiare; io mi sono lasciata guidare dall'istinto, con un po' di incoscienza. Certo me lo potevo permettere perché avevo già un lavoro; se non sfondavo avrei fatto altro. Per chi invece non riesce a emergere dopo tanti anni di conservatorio, è dura».Cosa manca nella lirica, oggi?«La possibilità per i giovani di affrontare una gavetta adeguata, ad esempio nei piccoli teatri di provincia che non fanno opera. E così ci si butta nei grandi teatri col rischio di bruciarsi in poco tempo».Cosa manca ai cantanti di oggi?«Forse una certa eleganza nei modi di fare, nello stile, nel parlare, caratteristica che vedo assente nella gente in genere. Noi facciamo un lavoro privilegiato, dal punto di vista umano dobbiamo distinguerci nello stile di vita, nell'eleganza nel vestire, nei rapporti con gli altri».Ha senso investire tanto denaro per una prima della Scala seguita da pochi eletti, lasciando all'asciutto il futuro dell'opera lirica italiana?«Convengo che può sembrare quasi vergognoso. Credo però che questo tipo di eventi possa favorire il buon nome della Scala, il nostro teatro più famoso nel mondo. Il fatto è che se da un lato si possono giustificare anche questi eventi musical-mondani, dall'altro non si può tollerare la mancanza di investimenti per crescere nuove leve artistiche, e favorire un ricambio generazionale, anche nel pubblico».Al Bonci, teatro lirico dedicato a un grande tenore, solo il conservatorio Maderna ha portato l'opera in questi anni.«Sarebbe bello tornare a rivedere una grande opera come l'Aida; l'ultima edizione a Cesena risale a più di 50 anni fa con Giacomo Guelfi, Mirto Picchi, Elisabetta Barbato. Bisognerebbe che il comune investisse ancora nell'opera, magari con l'aiuto di qualche banca».Quale titolo rappresenta il suo sogno nel cassetto?«Al momento è Andrea Chenier di Umberto Giordano l'opera che vorrei più cantare».Dopo Aida in Egitto le manca ancora una "prima" della Scala.«Sento che ci arriverò, ne sono sicura».Con quale opera?«Con Aida!». (Fonte CorriereRomagna) Rimini 27/02/2007