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L'instabile equilibrio cinquecentesco

Notizia pubblicata il 28 ottobre 2009



Categoria notizia : Cultura


E' in uscita, presso lo storico editore Olschki di Firenze, il volume Fra Urbino e Firenze: politica e diplomazia nel tramonto dei della Rovere (1574-1631) di Gianluca Montinaro, con postfazione di Ernst Nolte. Il libro sarà presentato oggi a Pesaro, presso l'Auditorium della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro (piazza Antaldi, 1), alle ore 18.15. Ne parleranno, insieme all'autore, Marco Cangiotti (preside della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Urbino) e Gianfranco Sabbatini (presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro).

Nel corso dell'ultimo secolo pochi studi hanno hanno affrontato con piglio sistematico la storia politica e diplomatica del ducato d'Urbino in epoca roveresca. Poche e datate opere ne hanno indagato le vicende dinastiche, quasi nessuna ne ha analizzato le linee di indirizzo di "politica estera". Ciò è strano perché non solo il ducato di Urbino rivestì nel XVI secolo un ruolo di primo piano nelle vicende italiane ed europee ma anche perché gli esponenti della famiglia che ne reggeva le sorti, i della Rovere, si trovarono a più riprese a ricoprire ruoli chiave nell'instabile equilibrio politico cinquecentesco. Un volume di Gianluca Montinaro appena uscito, Fra Urbino e Firenze: politica e diplomazia nel tramonto dei della Rovere (15741631) , offre una prima indagine sulla politica estera e, in particolare, sui rapporti diplomatici fra le corti d'Urbino e di Firenze , dal 1558 fino alla morte dell'ultimo principe Francesco Maria II e alla devoluzione del ducato.
Parte integrante di tale indagine è anche il tentativo di fornire i modi e i termini per interpretare gli stilemi dell'azione politica e della diplomazia cinquecentesca, alla luce dei numerosi trattati coevi sull'arte del buon governo, della ragion di Stato, dell'ufficio di segretario, del ruolo di ambasciatore. Nel pieno Rinascimento l'azione politica e l'azione diplomatica si muovevano sugli stessi binari. La prudenza guidava le scelte dei principi, secondo modi di approccio e di cortesia che si ripetevano sempre uguali. Il proliferare, fino a Seicento inoltrato, di tutti questi scritti non fu casuale. Nei decenni in cui tramontava l'indipendenza della Penisola, le signorie italiane cercarono - per sopravvivere ai tempi nuovi - di incrementare le proprie capacità negoziali, i contatti e le buone entrature al fine di «conservare» il proprio status quo.
Da ciò discese non solo un grande sviluppo, nella pratica, dell'arte politica e diplomatica ma anche un notevole incremento della speculazione teorica. Gianluca Montinaro, giovane storico noto al pubblico per i suoi studi sui concetti di utopia e politica fra XV e XVII secolo e sulle vicende storicoculturali del pieno e tardo Rinascimento, ricostruisce con sagacia il quadro generale della vicenda. 1558. Guidobaldo II della Rovere, vedendo prossima la vittoria della Spagna sulla Francia (la battaglia di San Quintino, 1557, aveva segnato la disfatta francese), abbandonava l'alleanza con papa Paolo IV Carafa e i Francesi, per un veloce avvicinamento al giovane re di Spagna Filippo II. Il monarca asburgico, lieto di accoglierlo nel suo schieramento, nel conferirgli l'ambito Toson d'Oro, lo nominava Capitano Generale del Regno di Napoli (con dotazione di lauto appannaggio).
Il repentino passaggio di campo era stato favorito da un amico della corona spagnola: Cosimo I de' Medici. Si apriva così l'ultiGiovani in Musica ma stagione, quella filospagnola, dei della Rovere. A sancire il patto Guidobaldo II inviava suo figlio Francesco Maria per due anni (1566-1568) all'Escorial, per essere educato ai modi e alla cultura di quella corte. La morte di Guidobaldo, nel 1574, muta radicalmente il clima del ducato. Il nuovo duca, cupo, introverso e sospettoso, dopo aver eliminato i favoriti del padre, fa scivolare lo Stato sotto una grigia cappa controriformista. Stretti rapporti l'ultimo della Rovere conserva con i Medici di Firenze. Soprattutto dopo lo sfortunato matrimonio con Lucrezia d'Este, Francesco Maria preferisce rivolgere il suo sguardo alla controriformistica Firenze piuttosto che verso l'"odiata e gaudente" Ferrara (con la quale invece aveva intrattenuto ottimi rapporti il padre). Nel clima crepuscolare dell'Italia signorile dell'ultimo rinascimento, i legami con i Medici si intensificano sempre più, attraverso due matrimoni. A soli quattro anni d'età, il giovane erede del ducato urbinate, Federico Ubaldo (nato nel 1605), viene fidanzato a Claudia de' Medici (nata nel 1604).
L'importante accordo, frutto della lungimiranza di Francesco Maria II, oltre a riconfermare l'alleanza delle due dinastie, avrebbe comportato un notevole impegno politico da ambo le parti, con finalità anti-papali. La sposa portava in dote 300 mila scudi, mentre Francesco Maria II, in cambio del sostegno mediceo, nominava il granduca Cosimo II suo esecutore testamentario, affidandogli la tutela del piccolo Federico Ubaldo. Gli interessi medicei andavano coincidendo con quelli rovereschi, tutti finalizzati a limitare il potere della Chiesa nell'Italia centrale (ancora viva, nel ricordo di molti, era l'annessione di Ferrara ai domini ecclesiastici, nel 1598).
L'unione viene celebrata nel 1621, ma presto alla politica si mescolano il mistero e la tragedia. Il giovane Federico Ubaldo (di temperamento indolente, ribelle e violento) viene trovato morto la mattina del 29 giugno 1623 in circostanze oscure, nella sua stanza, chiusa dal di dentro, nel palazzo ducale di Urbino. Sulla vicenda esistono varie versioni. C'è chi identificò nel pontefice il mandante occulto di un omicidio mascherato da disgrazia. Altri adombrarono un avvelenamento in seguito all'intervento di sicari dei Medici, stanchi delle sofferenze morali subite dalla principessa Claudia. E' dalla particolareggiata relazione di Scipione Ammirato, subito inviato dal granduca di Toscana a Urbino, che si può tentare di risolvere questo "delitto" ancora insoluto. La sera del 28 giugno, prima di coricarsi, Federico Ubaldo diede ordine di preparare i cavalli per una partita di caccia la mattina seguente. Il giorno dopo, verso mezzogiorno, non essendo ancora uscito, i servitori bussarono alla porta e, non avendo risposta, forzarono l'uscio.
Trovarono il principe morto da diverse ore, il corpo freddo; le lenzuola disordinatamente scomposte. Federico Ubaldo era girato di schiena, con la mano sinistra sotto la guancia e una gamba piegata. Nessun particolare rilevante venne notato dai presenti tranne un abbondante presenza di schiuma bianca che fuoriusciva dalla bocca del principe. Il giovane, forte, sano e di robusta tempra non aveva mai sofferto di particolari malattie. La principessa Claudia, scrivendo ai parenti a Firenze, parlò di apoplessia, forse intendendo questo termine nell'accezione di "morte improvvisa". Scipione Ammirato invece, iniziando la sua relazione sulla morte del principe, subitò annotava: «La causa naturale della morte del principe d'Urbino si da a' suoi continui disordini e allo strapazzo della sua vita, sì nel durar fatica da asino, non si quetando mai né con il corpo né con la mente, et bevendo, et mangiando, et dormendo quanto et come il senso lo guidava et non la ragione» .
E sulla causa prossima della morte aggiunse questo particolare: «Et havendolo amore fatto diventare comico, mercoledì sera de 28, che si trovò morto poi il giovedì, non solo recitò, ma facendo una parte molto vile, gli convenne portare di su la scena dentro quasi tutti i comici addosso, et in oltre una soma di stoviglie, che si lassò cascare per far ridere gli spettatori, talché si può dire di lui che per amore divenne comico et matto. Se ne tornò a palazzo strangasciato» .
Le lenzuola scomposte, la mano sotto la guancia, la presenza di schiuma, fanno ora pensare che a provocare il decesso del principe fu un attacco epilettico fulminante che lo fece morire soffocato fra le lenzuola a causa dell'eccesso di liquido muco-salivare. A Francesco Maria II, senza altri figli, apparve nitida l'estinzione della propria stirpe e la fine del suo ducato. Solo una bimba era nata dall'unione dei due giovani: Vittoria, la quale però mai avrebbe potuto succedere al trono. Il vecchio duca lasciò la nipotina erede universale con una dote di due milioni di scudi, facendola trasferire a Firenze per essere educata e quindi maritata al granduca Ferdinando II.
I Medici cercarono inutilmente di annettersi una parte del territorio urbinate. I tempi dei della Rovere stavano giungendo al termine. Nel 1624 Francesco Maria II firmò una convenzione con la quale cedette i suoi domini e i suoi diritti alla Reverenda Camera Apostolica e la sua eredità alla nipote Vittoria. Morì sette anni dopo, nell'amata Casteldurante, sopravvivendo a se stesso e al suo ducato. Anche intrighi nell'ambiente urbinate