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Descrizione dell'Evento

Chaos, creazione di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto, è una scrittura performativa contemporanea a partire dal Libro Primo de Le Metamorfosi di Publio Ovidio Nasone.

Il progetto performativo prosegue un percorso creativo basato sull’opera ovidiana iniziato nel 2007 con la messa in scena di RADICAL CHANGE, creazione performativa a partire da Le Metamorfosi di Ovidio. Nato da una ricerca visuale, visiva, filmica, spaziale e sonora che utilizza come sostrato testuale ed identitario le riflessioni poetiche e filosofiche di Ovidio sul chaos che precede la creazione dell'uomo, il nuovo lavoro indaga, con una potenza visiva e simbolica estrema e tesa ad una composizione scenica costruita attraverso visioni ed illuminazioni archetipe, riferimenti poetici di una dimensione originaria tra mito e materia, il percorso di generazione dal nulla universale fino alla creazione dell’umanità e al passaggio attraverso le quattro età descritte dal poeta : Età dell’Oro, Età d’Argento, Età del Bronzo, Età del Ferro. I corpi dei performer diventano simulacri mitici in grado di riflettere le pulsioni poetiche ovidiane attraverso un percorso formativo, costruito su un’impalcatura di attrazioni e repulsioni, contatti e allontanamenti, maturazioni e distruzioni reciproche. La lingua latina entra nella dimensione performativa creando una cornice testuale di grande tensione simbolica: le parole si imprimono nelle sequenze fornendo un supporto artistico visionario che astrae lo sguardo dalle azioni sceniche. La parola si fa verbo assoluto dentro ai corpi dei performer creando un tessuto sonoro stratificato dove l’identità pre-umana della mole informe ed originaria diviene, dopo un processo estremo di evoluzione, la leggenda della nascita dell’uomo.

 GOD.SEPARATION OF ELEMENTS. La jeune fille presenta ed espone il proprio corpo nudo prima che una serie di “cose mal combinate fra loro” inizi la sovrapposta architettura degli elementi materici e cromatici. Prima e dopo il corpo femmineo si de-costruisce e ri-costruisce mutando forma e contenuto – ante mare et terras ... -, la storia sconosciuta che ogni segno/indumento porta con sé ri-forma senso prima e dopo il qui-e-adesso del corpo che ci appare. Informa e confusa la sovrapposizione edifica – piano su piano – una nuova trama gestuale e corporea, gli oggetti letteralmente si incarnano, deformano il profilo, creano la nuova sagoma, il simulacro dell’umano.
La jeune fille, ora unicum di valori semantici, separa e distribuisce ai nuovi nati - in ordine e armonia - il frammento necessario al procedere della creazione estetica. Nuova storia viene generata dalla ri-forma e dal generarsi di nuova espressività, non il contrario. Due corpi si sono aggiunti agli elementi, uno maschile già segnato dal tempo e uno femminile sensibile rifrazione dell’originario.

THE EARTH AND THE SEA. Ma nel comporre la nuova scena del globo, la dea primaria della suddivisione tra cielo e terra invia la terza imago - armandola di parola e voce - ad annunciare al mondo il nuovo Tutto, testi già scritti per il genere umano rinascente. 

 

THE FIVE ZONES. La jeune fille Marion, vissuta un tempo dentro i confini di un libro – “La morte di Danton” di Georg Büchner - enuncia ancora il proprio doppio tra uomo e Natura, tra coscienza e in-coscienza “io sono diventata come il mare che tutto ingoia e si agita sempre più nel profondo”.

 

THE FOUR WINDS. Gira, gira, più veloce della terra, la donna che abbraccia non un solo amore ma tutto l’amore. 

 

HUMANKIND, il genere umano con le sue teste a forma di palla. A forma di mondo. Inizia la generazione delle stirpi, madri e padri, figli e sorelle, su lettini anatomici dove le procreazioni e le morti si susseguono incessanti e terrificanti, dove i figli incolpano i padri e le madri delle sofferenze e delle fatiche indicibili a loro inflitte da nascite non richieste, delle gioie e degli entusiasmi a termine scanditi dai ritmi matematici dell’evoluzione e del continuo divenire. Natus Homo est.

 

HUMANKIND: il creato vuole creare, a sua forma e somiglianza, come cranio una palla tonda. L’artefatto vuole farsi artefice, ma il prodotto è debole, non regge la fatica del mondo. Il simulacro del dio ora è simulacro di se stesso, mentre il dio lo guarda da lontano.

 

HUMANKIND. “Che cosa è l’uomo? Come è possibile che esista una cosa che fermenta e bolle come un caos?” Si chiede il vecchio – come si interrogava Hölderlin nel suo Iperione -, accudito dalle figlie che prima l’hanno maledetto, adesso è asciugato e solo, pronto alla prossima incontinenza, al defluire di ciò che è rimasto della propria potenza fisica, solo nella sofferenza dell’abbandono, con le figlie testimoni della propria, intima e profonda, sconfitta.

 GOLDEN, SILVER, BRONZE, IRON AGE. Ma l’uomo si rigenera, o meglio la femmina più del maschio. La rigenerazione è sviluppo drammaturgico, è mutamento – metamorfosi, radical change, chaos -, la trama dell’illusione e dell’invenzione, della menzogna e della poesia, del fetore e del profumo dell’umano: Shakespeare. “Vieni amaro condottiero, vieni schifosa guida! Tu pilota disperato –“. Il vecchio si cala le braghe e mostra le nudità raggrinzite dal tempo, si vendica dei corpi più giovani e delle parole belle di mondi inventati. E’ un maschio senza più parole, solo rumore di desiderio, di caccia, di apprensione. Si accorgerà che il vero incorpora sempre, prima o poi, il falso: “Così con un bacio io muoio!”
Il vecchio si acconcia con pezzi del tempo trascorso, di altre ere. Altri segni. olo lasciti, partenze, un ultimo volgare gesto, ripetuto, agli dèi.   Francesco PitittoChaos conferma la radicalità visionaria con cui Lenz va esplorando da tempo le Metamorfosi di Ovidio. Qui siamo all'inizio dei tempi, dentro il caos che precede la nascita dell'umanità, riflesso nell'indistinzione delle immagini anatomiche macro in evoluzione sui tre grandi schermi che delimitano lo spazio scenico e nel magma sonoro delle musiche di Andrea Azzali. La lontananza delle età del mito si specchia nei corpi lunari su cui opera la scrittura performativa dei due artefici, Maestri e Pititto. Corpi acerbi di giovani donne dai capelli rasati che si scontrano con la gravità di un uomo anziano (e sono molto brave Elena Sorbi e Laura Vallavanti che agiscono insieme all'ormai veterana Valentina Barberini). Si attraggono e si respingono giocando coi pochi attrezzi di scena, sgabelli, lettini ospedalieri, palloni da basket; si lasciano attraversare dalle parole del poema latino; monologano con quelle di Romeo & Juliet. Mentre intanto continuano a togliersi e mettersi magliette e calzoncini. C'è in quei corpi, nei loro gesti che precedono l'idea stessa di un'azione, l'energia sessuale di un mondo primordiale che può diventare provocazione e violenza senza raggiungere l'eros. E una innocenza che ferisce. Qualcosa che rimane e chiede di non essere consumato in fretta, da rivedere ancora. Ma che emozione intanto risentire d'un tratto echeggiare le parole di Hölderlin tanto amate un tempo”. Gianni Manzella, Il ManifestoChaos, dal primo libro delle Metamorfosi di Ovidio invoca un altro sguardo. Qui non siamo davanti a un ipermondo terminale, ma alle origini del cosmo, all’indistinzione della materia originaria che precipita nell’individuazione delle cose. Appare l’età dell’oro che svilisce in quella del ferro, fino alla fuga per malinconico dispetto degli orrori umani della vergine Astrea, indietro fino alla ribellione dei giganti, dal cui sangue infetto nacquero gli uomini. Immagini, primissimi piani di dettagli dei corpi, circondano tre ragazze e un uomo maturo nudi e rasati, prima ombre, poi presenze ora mitiche ora abbigliate da bordello, incorniciate dai versi latini di Ovidio o dal grido di parole d’amore e disperazione di Romeo e Giulietta, da suoni lancinanti o da refrain consolanti. Un corpo di plastica, un corpo incrostato di superfetazioni o denudato, un corpo poema o immagine, un corpo tradito, un corpo implorante, un corpo così presente da risultare vacuo, da svanire, da gridare, è quello delle fantasie ossessive di Lenz. Sta in bilico tra le crepe dell’anima e dei tempi con la sua irriducibile soggettività, quella che l’arte esalta come atto di ribellione. Si ostenta e si sottrae per sondare le strade dei territori del sacro e dell’umano attraverso le seduzioni, gli errori, l’ansia più disperata e volgare. Per salvare almeno un gesto, un respiro, una possibilità”.
Massimo Marino, La Differenza “Lo spazio scenografico della sala Majakovskij di Lenz Teatro è scandito da tre vasti, candidi pannelli ad onda su cui scorrono, opere di raffinata intelligenza estetica, superfici mosse, particolari ingranditi, titoli che scivolano moltiplicati orizzontalmente, versi dell’opera di Ovidio, fonte ispiratrice, per “Chaos” dal Libro Primo delle Metamorfosi, traduzione, drammaturgia, imagoturgia di Francesco Pititto, installazione scenica, costumi, elementi visivi di Maria Federica Maestri, musica di Andrea Azzali, spettacolo che ha debuttato sabato in prima nazionale nell’ambito del festival di Lenz “Natura Dèi Teatri”, interpreti Valentina Barbarini, Elena Sorbi, Giuseppe Barigazzi, Laura Vallavanti.
Nella prima scena la nudità della figura femminile si andrà coprendo/riempiendo dei materiali diversi riversati sulla scena, più vesti e oggetti, bottigliette di plastica, resti confusi. Sono i corpi stessi tra attrazione e repulsione a rinviare al tempo del caos e alle diverse età mitiche, oro, argento, bronzo e ferro, ma in una concretezza di vicinanza, contatto, infine brutalità che determina, inevitabilmente, anche altre letture, sensazioni forti, maschio e femmine che si cercano in libertà, che si riconoscono in diversi ruoli, ma che poi anche avvertono come la volontà dell’uno possa non essere il desiderio dell’altra. La separazione degli elementi. Racconti, esperienze di vita, la scoperta della sensualità. L’ascolto dei versi di Ovidio, il latino che rinvia ad un lontano indefinito e la presa di coscienza dell’identità. Grandi occhi sugli schermi ma anche alberi e foglie. In scena corpi che si confrontano: lavato pietosamente sul letto il corpo dell’uomo che però poi saprà provocare il pianto. Peggiore di tutte l’età del ferro, guerra e sangue, persa ogni forma di lealtà ... I versi dell’amato Hölderlin quasi un singhiozzo, “che cosa è l’uomo? Come è possibile che esista una cosa che fermenta, e bolle come un caos!” Valeria Ottolenghi, Gazzetta di Parma

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