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Solo il fumetto può raccontare tutti gli orrori di Beirut

Notizia pubblicata il 30 aprile 2009



Categoria notizia : Cultura


I SUOI PERSONAGGI sembrano allegri protagonisti di una commedia ambientata in un Oriente più vicino all’immaginario cinematografico che alle pagine dei quotidiani. Con i lunghi baffi ricurvi, le signore alle prese con i dolci impregnati di miele, i bambini dai tratti vagamente esotici.

Nulla rimanda alla cupa atmosfera che si percepisce, se solo si aprono le finestre di quella ridente abitazione. Perché fuori c’è quanto di più simile all’inferno riusciamo a immaginare.

Una città assediata dalla guerra civile.Beirut. E tra quelle quattro mura (che per anni hanno costituito il suo unico orizzonte geografico), viveva la piccola Zeina Abirached, oggi una delle disegnatrici più sensibili e raffinate del fumetto internazionale. Il gioco delle rondini (edito in Italia da Becco Giallo) è il suo ultimo libro, autobiografia per immagini di una bambina che cresce sotto l’assordante fragore delle bombe, credendo che sia quella l’unica normalità possibile. Un graphic novel che prosegue in qualche modo la strada aperta da Persepolis e Valzer con Bashir. L’autrice lo presenta questa sera alle 22 alle Libreria Modo di Bologna (via Mascarella, 24/b).

Zeina, il suo lavoro può aiutare ad esercitare la memoria...
«Disegno fumetti proprio per mantenere vivo un passato troppo vicino e drammatico per essere dimenticato. In Libano siamo usciti dalla guerra da un giorno all’altro e ed è come se tutti, ad iniziare dal governo, volessero rimuovere l’orrore di quegli anni. Io disegno per testimoniare una storia che rimarrà per sempre nella mente di chi ha trascorso, come me, l’infanzia sotto le bombe. E’ come un tabù, specie per le giovani generazioni. Era una guerra civile, ma, in pochissimo tempo, la gente ha ricominciato a vivere nei posti dove sino a qualche ora prima si combatteva. Pura schizofrenia».
Il suo fumetto può quindi contribuire alla ripresa del dialogo...
«E’ una aspirazione ambiziosa. Ma quando il libro è uscito in Libano, molte persone che vivevano a Beirut Ovest, dall’altra parte rispetto alla mia casa, si sono ritrovate in quello che raccontavo.
Ho cercato di disegnare un sentire comune tra i libanesi, che supera le barriere di etnia e religione. Una radice che ci unisce e che vorrei decifrare».
Il fumetto, quindi, non solo come intrattenimento.
«Il fumetto per me è stato un atto necessario. Un omaggio dovuto alla storia del mio paese, al mio passato. Il fumetto è uno dei mezzi più efficaci per diffondere un messaggio...».
Leggeva fumetti mentre cadevano le bombe?
«Non pensavo certo di fare la fumettista, ma i miei genitori avevano una grandissima collezione di albi e, siccome eravamo costretti in casa, io li divoravo. Ho imparato l’alfabeto decifrando proprio i testi dei cartoon, specie quelli francesi. Il fumetto si è imposto come mezzo di espressione quando ho iniziato a pensare ad episodi avvenuti in quel periodo e l’unica maniera che avevo per condividerli con gli altri era trasformarli in disegni. E’ come se mi avesse aiutato a ritrovare la memoria, mentre tutto intorno c’era solo voglia di amnesia. Inoltre è importante riuscire a disegnare la città, perché con la ricostruzione, che qui è velocissima, Beirut cambia ad un ritmo incredibile. E il fumetto serve anche a conservare un patrimonio architettonico che tra poco non ci sarà più».
Beirut prima della guerra era una delle città al mondo con la vita notturna più intensa...
«Beirut è una città eccessiva, i club, le feste, adesso imperversano. E’ come se noi libanesi non riuscissimo ad accettare la normalità. O c’è la guerra, o facciamo feste travolgenti. E tutto inseme nello stesso momento!».

foto by http://www.flickr.com/photos/viernullvier/